Il rapporto: sistemi di pagamento non armonizzati, informazioni agli automobilisti insufficienti, nessun requisito infrastrutturale minimo chiaro. “Serve una tabella di marcia”

Ricariche elettriche, la Corte dei Conti sprona la Commissione

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Nel 2020, nonostante il generale calo delle immatricolazioni di nuovi veicoli dovuto al Covid, il segmento dei veicoli elettrici e ibridi ricaricabili ha visto crescere considerevolmente la propria quota di mercato. Le reti di ricarica, tuttavia, non si stanno sviluppando allo stesso ritmo.

È quanto afferma la Corte dei Conti Ue nella relazione speciale “Infrastrutture per la ricarica dei veicoli elettrici”, frutto di un lungo lavoro di verifica sul campo (con visite a stazioni di ricarica in Germania, Francia e Italia) e presso istituzioni comunitarie, autorità nazionali, stakeholder e beneficiari dei finanziamenti del programma Cef.

Documento nel quale la Corte raccomanda alla Commissione europea di “preparare una tabella di marcia con i termini entro cui raggiungere i valori-obiettivo per le infrastrutture di ricarica e di stabilire norme e requisiti minimi”. Bruxelles dovrebbe inoltre destinare i finanziamenti “sulla base di criteri oggettivi e di analisi del deficit infrastrutturale, nonché di garantire che i progetti cofinanziati offrano un accesso sostenibile e non discriminatorio a tutti gli utilizzatori”.

Secondo la Corte, infatti, “non è stata realizzata un’analisi completa del deficit infrastrutturale, che stabilisse quante stazioni di ricarica accessibili al pubblico fossero necessarie, dove avrebbero dovuto essere situate e quale potenza avrebbero dovuto erogare”. I finanziamenti forniti mediante il meccanismo per collegare l’Europa (Mce) “non sono sempre andati là dove erano maggiormente necessari, e non vi erano valori-obiettivo chiari e coerenti né requisiti minimi in materia di infrastrutture a livello Ue”.

Inoltre, “sistemi informativi e di pagamento differenti complicano l’esperienza dell’utente”. Ad esempio, “tra le diverse reti vi sono scarse informazioni coordinate sulla disponibilità in tempo reale, sui dati di ricarica e sui dettagli di fatturazione”.

L’analisi nel dettaglio

La verifica del corretto utilizzo dei fondi Cef, che nel capitolo Dafi sono ammontati a quasi 700 milioni di euro nel periodo 2014-2020, era l’obiettivo di partenza della relazione, che ha finito però per abbracciare l’intero sviluppo della mobilità elettrica in Europa con conseguenti raccomandazioni all’esecutivo comunitario.

La relazione indica che a settembre 2020 i punti di ricarica accessibili al pubblico nella Ue a 27 e in UK erano 250.000, numero significativamente inferiore ai 440.000 previsti per la fine dell’anno scorso dal Piano d’azione adottato dalla Commissione nel 2017. Se la diffusione delle infrastrutture di ricarica continuerà a seguire la tendenza del 2014-2020, vi sarà dunque un “rischio significativo” di non raggiungere l’obiettivo al 2025, per centrare il quale occorrono 150.000 nuovi punti di ricarica ogni anno.

Sempre allo scorso settembre, ben 13 Stati membri non avevano ancora raggiunto il target della direttiva Dafi (peraltro indicativo e non vincolante) di almeno un punto di ricarica pubblico per ogni 10 veicoli elettrici a fine 2020.

Tutto questo, sottolineano i giudici contabili, in presenza di “sostanziali differenze tra Stati membri”: al settembre 2020 il 69% dei punti di ricarica si trovava in soli tre Paesi: Olanda (61.406), Francia (45.246) e Germania (44.464), mentre tra gli altri grandi Stati l’Italia si attestava a 13.077, la Spagna a 7.952 e la Polonia non superava i 799.

Gli spostamenti con veicoli elettrici nella Ue sono dunque ostacolati da una rete di ricarica a macchia di leopardo, ma anche da altri fattori. Ad esempio, nelle visite alle stazioni di ricarica gli auditor hanno riscontrato che “i prezzi vengono indicati in modi diversi (€/kWh, €/minuto o €/ricarica), rendendo difficile la comparabilità”.

Quanto ai progetti finanziati con i fondi Cef, i giudici hanno verificato le procedure usate da Bruxelles attraverso un campione di 11 progetti per un valore complessivo di 130 mln €, riscontrando che i finanziamenti si sono concentrati in un numero di mercati relativamente ristretto (il 35% in Germania, l’11% in Italia, il 7% in Francia e il 7% in Austria), “accrescendo il rischio di finanziare stazioni di ricarica che si sovrappongono, trascurando al contempo sezioni maggiormente carenti della rete”.

Inoltre, 8 degli 11 progetti considerati (che hanno ottenuto fondi Cef per 47 mln €) sono stati proposti dai richiedenti come studi e accettati come tali dalla Commissione, beneficiando in questo modo di un tasso di cofinanziamento più alto (50%) e dell’esenzione dall’obbligo di presentare un’analisi costi-benefici. Tuttavia, “sia nel testo degli inviti che nella procedura di valutazione seguita dall’Inea, i criteri per stabilire se le attività costituissero uno studio o opere non erano chiari”.

Il commento del responsabile della relazione

“La mobilità elettrica - ha dichiarato Ladislav Balko, il membro della Corte responsabile della relazione - necessita di un numero sufficiente di infrastrutture di ricarica. Ma affinché tali infrastrutture siano costruite, è necessario che ci siano maggiori certezze circa la diffusione dei veicoli elettrici. Lo scorso anno, un’autovettura ogni dieci vendute nell’Ue era ricaricabile elettricamente, ma le infrastrutture di ricarica non sono accessibili in modo uniforme nell’Ue. La Corte ritiene che la Commissione dovrebbe fare di più per sostenere una copertura della rete in tutta l’Ue e garantire che i fondi Ue vadano là dove sono maggiormente necessari”.

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