26.02.2016 | Dopo il Piano di Sviluppo Terna 2015 ci interroghiamo sulla profittabilità del cavo Italia Montenegro
di Elisa Borghese e Michele Governatori - apparso su Quotidiano Energia 26/02/2016
Tra il 2009 e il 2011 i Governi di Italia e Serbia hanno siglato accordi per la realizzazione dell’interconnector elettrico Italia-Montenegro e fissato il prezzo dell’energia da fonti rinnovabili da importare dal Montenegro a 155 €/MWh. A novembre 2014 Claudio De Vincenti, allora Viceministro dello Sviluppo Economico, rispondendo a una interrogazione del M5S, spiegava i motivi sottostanti agli accordi: “In tale periodo il target comunitario del 17% del consumo interno lordo da fonti rinnovabili assegnato all’Italia per il 2020 appariva, alla luce degli scenari allora disponibili, difficile da raggiungere pur sfruttando l’intero potenziale disponibile sul territorio nazionale. L’Italia aveva, dunque, considerato di fare ricorso a partner internazionali al fine di raggiungere gli obiettivi e non incorrere in sanzioni comunitarie”. Agli interroganti, che reputavano fuori mercato il prezzo pattuito, De Vincenti rispondeva che esso sarebbe stato corrisposto “solo in caso di deficit dell’Italia rispetto agli obiettivi”. Quindi verosimilmente no, visto che con la “Relazione dell’Italia sui progressi realizzati nella promozione e nell’uso dell’energia rinnovabile – Progress report 2015” il GSE certifica che nel 2014 la quota di rinnovabili nel consumo finale italiano di energia è del 17,07%.
Il Piano di Sviluppo 2015 draft di Terna afferma che la realizzazione del collegamento assicurerà “un aumento della competitività del mercato, oltre che un canale di scambio di energia elettrica disponibile a prezzi sensibilmente inferiori sia nel medio che nel lungo periodo”, e durante un recente incontro sul tema presso l’Autorità di settore la stessa Terna ha confermato che lo spread atteso sui prezzi dell’elettricità tra Italia e Montenegro si aggira a 30 €/MWh. Ma questo valore potrebbe essere sovrastimato.
Il mercato montenegrino dell’elettricità non è ancora molto trasparente, il Paese non sta lavorando alla creazione di una propria borsa e gli operatori perlopiù utilizzano oggi come prezzo di riferimento quello ungherese o quello romeno (le cose potrebbero cambiare con l’avvio proprio in questi giorni della borsa elettrica serba). Confrontando i contratti a termine 2017 baseload su questi mercati con quello italiano, il differenziale di prezzo si riduce notevolmente rispetto ai numeri di riferimento di Terna. Il 19 febbraio 2016 sul mercato italiano il prezzo del prodotto a termine 2017 era 37,95 €/MWh, mentre lo stesso prodotto sul mercato ungherese valeva 34,71 €/MWh e sulla borsa romena 33,10 €/MWh. Al prezzo dell’energia importata andranno in più aggiunti i costi di trasporto.
La legge 99/09 ha introdotto un meccanismo (in gergo “interconnector virtuale”) con cui alcuni grandi consumatori elettrici, che si sono impegnati a finanziare interconnessioni con l’estero, ricevono in cambio da subito uno sconto sul prezzo dell’energia pari allo spread tra prezzo dell’elettricità in Italia e nella zona estera rilevante. Il cavo montenegrino originariamente non era ricompreso nel meccanismo, ma ora ne fa parte. Un Decreto interministeriale di settembre 2015 ha infatti stabilito che la Monita Interconnector srl si occuperà della realizzazione e gestione del cavo per una capacità complessiva di 300 MW. La società, oggi di proprietà di Terna, una volta completata la procedura di esenzione accesso terzi al cavo verrà ceduta ai finanziatori privati già individuati in forza del meccanismo dell’interconnector virtuale. Dunque una parte del finanziamento dovrebbe essere sostenuta da grandi consumatori elettrici (ma perché dovrebbero se lo spread non è vantaggioso?). E il resto? L’Autorità nella delibera 397/2015 rende noto che la richiesta di Terna di recepire fondi attraverso il programma “Connecting Europe Facility” è risultata “non eleggibile”.
E se anche si prendesse atto che l’infrastruttura non è più conveniente al sistema, accettando di perdere un po’ di soldi già investiti, non sarebbe certo un delitto, bensì un segno di serietà delle istituzioni coinvolte.