Parigi e Londra trasferiscono i costi sui consumatori, ma con modalità diverse
Alle prese come in Italia e nel resto d’Europa con il problema dei mancanti pagamenti delle forniture elettriche durante l’emergenza Covid-19, i regolatori energetici di Francia e Regno Unito hanno deciso di “socializzare” i costi sostenuti dai fornitori, cioè di trasferirli - almeno in parte - nelle bollette.
Annunciando l’aumento delle tariffe regolate dal 1° febbraio, il regolatore transalpino Cre ha spiegato che l’impatto della crisi sanitaria sul sistema elettrico si è tradotto in “una forte crescita degli insoluti, in particolare clienti professionali, e in una contrazione dei volumi venduti nel 2020 e 2021 a questi clienti”.
La Cre, dopo il placet dei ministri dell’Economia e dell’Energia, ha dunque aumentato le tariffe dell’1,6% per i clienti domestici (in media +15 € su base annua) e del 2,6% per quelli professionali, anche se la compensazione dei debiti degli insoluti pesa per una minima parte. Il grosso dell’aumento è legato infatti alla crescita del prezzo delle garanzie di capacità, vale a dire i titoli che i fornitori sono obbligati ad acquistare per coprire la domanda dei loro clienti nei momenti di punta del consumo nazionale.
Hanno poi pesato sull’incremento tariffario il superamento del plafond di 100 TWh dell’Arenh (la quota di produzione nucleare che Edf deve cedere obbligatoriamente ai concorrenti a un prezzo fisso di 42 €/MWh), nonché l’incremento dei costi di commercializzazione per i clienti non residenziali.
Il resto è ascrivibile alla compensazione dei costi degli insoluti, ma solo parzialmente: la Cre, “cosciente del contesto eccezionale e delle difficoltà di alcuni cittadini e imprese”, ha deciso di considerare nel 2021 tali costi soltanto al 50%.
Dovrebbe invece compensare quasi del tutto i fornitori la soluzione escogitata dal regolatore britannico Ofgem, che agisce in un mercato dove da tempo non esistono più i prezzi regolati.
Ofgem ha aumenterà dal prossimo 1° aprile il “price cap” di 96 sterline, di cui 23 £ per compensare i fornitori dei debiti inesigibili e il resto per tenere conto dell’aumento dei prezzi all’ingrosso.
Il “price cap”, il tetto di prezzo utilizzato per calmierare le bollette che due anni fa ha posto un freno alla completa liberalizzazione del mercato, era stato ridotto a ottobre di 84 £ per tenere conto del calo dei prezzi dell’energia seguiti alla pandemia. I fornitori hanno poi sottoscritto con il Governo un accordo volontario per limitare gli effetti della crisi sanitaria sui consumatori più vulnerabili attraverso “crediti di emergenza”.
Da allora però, sottolinea il regolatore, “la domanda di energia è tornata a crescere sostenendo i prezzi all’ingrosso” e il price cap sarà dunque riportato ai livelli pre-pandemia.
In particolare, nel semestre fino al 30 settembre il tetto salirà di 96 £ a 1.138 £ per gli 11 milioni di clienti con “default tariff” (le tariffe standard applicate ai consumatori che non hanno mai effettuato uno switch o che sono arrivati a scadenza di contratto senza rinnovare o scegliere alternative) e di 87 £ a 1.156 £ per i 4 milioni con contatori pre-pagati.
Il chief executive di Ofgem, Jonathan Brearley, ha chiesto tuttavia ai fornitori di “offrire prezzi competitivi, trattare tutti i clienti con correttezza e assicurare alle famiglie in difficoltà il supporto di cui hanno bisogno”, perché – ha sottolineato - “l’aumento delle bollette non è mai una buona cosa, soprattutto nel momento in cui molte famiglie sono alle prese con l’impatto della pandemia”.