Il governo italiano, con la conversione in legge del “Decreto Energia”, mira, tra le altre cose, ad accelerare lo sviluppo di filiere delle rinnovabili e la sicurezza energetica. Fondamentale è l’equilibrio tra tecnologia e diplomazia

Le (tanti) voci della decarbonizzazione

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La conversione del D.L. n.181/2023 in legge (n.11/2024) apporta rilevanti novità nel settore dell’energia, ripartite all’interno di quattro macroaree d’intervento: sostegno alle imprese a forte consumo di energia; promozione e sviluppo delle fonti rinnovabili; sicurezza energetica e decarbonizzazione; misure per la ricostruzione (dedicate ai territori colpiti “dagli eccezionali eventi alluvionali verificatisi a partire dal 1° maggio 2023”).

Per “promuovere e accelerare gli investimenti per l’autoproduzione di energia rinnovabile nei settori a forte consumo di energia elettrica”, il provvedimento di legge si propone di agevolare “lo sviluppo di nuova capacità di generazione” da rinnovabili da parte dei soggetti “iscritti nell’elenco delle imprese a forte consumo di energia elettrica istituito presso la Cassa per i servizi energetici e ambientali (CSEA)”. In particolare, le imprese potranno richiedere al GSE “l’anticipazione, per un periodo di trentasei mesi, di una quota parte della quantità di energia elettrica rinnovabile e delle relative garanzie di origine, mediante la stipula di contratti per differenza a due vie”, ad un prezzo in linea con i costi della tecnologia. Il periodo di restituzione dell’energia anticipata è pari a 20 anni “a decorrere dalla data di entrata in servizio degli impianti”. Sempre per le aziende, o meglio, per i “clienti finali industriali a forte consumo di gas”, è prevista la possibilità di acquistare questa risorsa a prezzi calmierati da imprese che si occuperanno di estrarlo sul territorio nazionale.

La nuova legge include anche “disposizioni per incentivare le regioni a ospitare impianti di produzione da fonti rinnovabili”.  Nello specifico, si prevede che “una quota dei proventi delle aste delle quote di emissione di anidride carbonica, nel limite di 200 milioni di euro annui per ciascuno degli anni dal 2024 al 2032” sia destinato ad un apposito fondo che venga ripartito tra le regioni per l’adozione di misure di decarbonizzazione, tra cui “la promozione dello sviluppo sostenibile del territorio, l’accelerazione e la digitalizzazione degli iter autorizzativi degli impianti e delle infrastrutture di rete”.

In più, sono previste modifiche per le misure relative alla realizzazione di impianti da fonti rinnovabili. Ad esempio, le soglie di potenza per cui gli impianti fotovoltaici localizzati in aree adeguate o altre aree devono essere sottoposti a VIA (Valutazione di Impatto Ambientale) o verifica di assoggettabilità a VIA saranno aumentate da 20 a 25 MW e da 10 a 12 MW (comma 9-sexies). La soglia invece di potenza al di sotto della quale gli impianti fotovoltaici sono soggetti alla Procedura Abilitativa Semplificata (PAS) anziché all’Autorizzazione Unica (AU) verrà incrementata da 10 a 12 MW (comma 9-septies).

 

RINNOVABILI SOPRA QUOTA 5 GW/ANNO NEL 2023

 

Come riporta “Il Sole 24 ORE”, nel 2023 “sono stati installati in Italia 5,5-5,8 gigawatt di nuovi impianti da fonti rinnovabili”. Tuttavia, per raggiungere i target europei, “si dovrebbe arrivare tra 8 e 10 GW l’anno”. Sempre sul quotidiano economico-finanziario, Cheo Condina spiega in un articolo che, secondo quanto ricostruito “dal Sole 24 in base a dati pubblici Terna”, la “produzione netta totale di elettricità è avvenuta per il 43,8% grazie alle fonti green, ovvero idroelettrico, eolico, solare, biomasse e geotermico”. Questo risulta però influenzato dal calo della produzione “stimata sotto i 260 GW, ai minimi dal 1999”. Peraltro, il risultato del 2023 ha visto la prevalenza di eolico e fotovoltaico, che hanno pesato rispettivamente per il 20,7% e il 27,2% sul totale della generazione, davanti all’idroelettrico (33,9%). L’Italia si dimostra pertanto sensibile alla transizione green, ma “resta la più dipendente dal gas e, dall’idroelettrico che, complice il climate change, è soggetto a maggiore volatilità”.

 

PPA, UNA FORMULA CHE PIACE ALL’EUROPA

 

I PPA (Power Purchase Agreement), racconta Luca Pagni su “Affari&Finanza” vengono definiti come “accordi per la fornitura di energia rinnovabile da parte di un operatore proprietario di un impianto eolico o fotovoltaico che viene sottoscritto da una grande azienda energivora”. Questa formula consente a un operatore che vende energia di avere ricavi stabili per un periodo medio lungo, (anche fino a 20 anni), mentre l’acquirente si protegge dalla volatilità dei prezzi dell’energia e migliora dal punto di vista della decarbonizzazione della propria attività. Nel 2023 la Spagna si è issata in cima alla classifica di nuovi PPA siglati, con un volume di 4,67 gigawatt, davanti alla Germania (3,73 gigawatt) e all’Italia (1,06 gigawatt). “Complessivamente la crescita in Europa è stata del 40% rispetto al 2022, con 10,5 gigawatt da impianti fotovoltaici, 2,3 nell’eolico onshore e 2 negli impianti eolici in mare”. E, in base alle previsioni della società specializzata Pexapark, i PPA potrebbero crescere ulteriormente del 24% nel corso del 2024, andando oltre quota 20 gigawatt di potenza contrattualizzata. Il mercato italiano si rivela ad alto potenziale. “Dal 2019 sono stati finalizzati 50 contratti di Ppa”, ma “oltre la metà si riferiscono al solo 2023”. A sostenere la forte espansione nell’ultimo anno hanno contribuito “lo snellimento delle procedure degli ultimi due governi” anche se “c’è ancora parecchio lavoro da fare”. Infatti, le ultime semplificazioni hanno incrementato le domande di nuove installazioni, con il Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica che ha cercato di trovare contromisure potenziando il gruppo di lavoro sulle Valutazioni di Impatto ambientale. Ciò “ha consentito l’anno scorso di aumentare i permessi per gli impianti piccoli e medi, mentre il 2024 sarà l’anno delle centrali rinnovabili di grande potenza”.

 

ASSE ITALIA-AFRICA, LE ASPETTATIVE VERSO IL PIANO MATTEI

 

La Conferenza Italia-Africa tenutasi a fine gennaio ha visto la partecipazione di “25 capi di Stato e di governo e 57 delegazioni” scrive Mauro Bazzucchi su “La Verità”. Questa conferenza corrisponde al primo passo per avviare il Piano Mattei che, come ha spiegato il presidente del Consiglio, “può contare su 5,5 miliardi di euro tra crediti, operazioni a dono e garanzie: circa 3 miliardi dal fondo italiano per il clima e 2,5 miliardi e mezzo dal fondo per la Cooperazione allo sviluppo”. Dovrebbe partire con alcuni progetti pilota, “come quelli sull’energia rinnovabile in Marocco, sull’istruzione in Tunisia o ancora quello per l’accessibilità alla sanità in Costa d’Avorio, oltre che in altre nazioni del Continente”. Tra questi “rientra un’iniziativa in Kenya per sviluppare la filiera dei biocarburanti e coinvolgere fino a circa 400 mila agricoltori entro il 2027” come narra “Avvenire”, a cui si aggiungono “l’interconnessione elettrica Elmed fra Italia e Tunisia e il nuovo corridoio per il trasporto d’idrogeno dal Nord Africa all’Europa centrale”.

 

HYDROGEN VALLEY, UNA NUOVA DIMENSIONE PER I TERRITORI

 

Per far partire la rivoluzione dell’idrogeno verde, “da qui al 2026, attingendo ai fondi europei del Piano di ripresa e resilienza (Pnrr) il governo ha stanziato 3,16 miliardi di euro” riporta Alberto Gentili su “Il Messaggero”. Oltre al settore dei trasporti, l’idrogeno ha un grande potenziale d’impiego come combustibile in settori come “cementifici, acciaierie, raffinerie, cartiere, stabilimenti di produzione della ceramica, del vetro e dei fertilizzanti”. Una delle principali criticità per la diffusione dell’idrogeno nell’industria pesante è data però dal prezzo che “varia dagli 8 ai 20 euro al chilogrammo, mentre il metano si aggira attorno ai 3 euro”. Per questo motivo intervengono gli incentivi. Tra i più recenti, figura il decreto varato dal MASE che ha stanziato “2 milioni di euro a favore degli stabilimenti industriali che rinunceranno al gas naturale”. Ad ogni modo, al centro della strategia di diffusione dell’idrogeno vi sono le “valli dell’idrogeno”, al momento in fase di realizzazione grazie al fondo di 450 milioni di euro “nel quadro del Pnrr, in aree industriali dismesse o abbandonate (non distanti dagli utilizzatori finali) presenti in 10 regioni: Abruzzo, Basilicata, Calabria, Emilia Romagna, Liguria, Toscana, Piemonte, Puglia, Sardegna, Valle d’Aosta e nella provincia di Trento”. Peraltro, secondo Mauro Mallone, direttore generale degli incentivi per l’energia del Ministero dell’Ambiente, “entro il 2026, anche grazie a un finanziamento aggiuntivo di 90 milioni, ogni Regione avrà la sua hydrogen valley collegata a un impianto fotovoltaico, che servirà gli stabilimenti industriali o garantirà il rifornimento alle aziende di trasporto, presenti nelle vicinanze”. L’obiettivo principale del nuovo PNIEC (Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima) consiste nel preparare le valli a produrre 250mila tonnellate annue di idrogeno verde al 2030, in modo che questo combustibile possa andare a sostituire in parte quello grigio, oltre a utilizzarlo parzialmente per rifornire bus, treni e navi.

Importante è anche il fondo pari a 276 milioni messo a disposizione dal MIT (Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti) per la realizzazione di 40 stazioni di rifornimento, produzione e stoccaggio di idrogeno. “E 24 milioni sono stati investiti, sempre dal MIT, per la sostituzione dei treni a gasolio nelle tratte ferroviarie non elettrificate”, con il proposito, entro due anni, di arrivare alla realizzazione di “10 stazioni di rifornimento per treni su almeno 6 linee ferroviarie”. Peraltro, lo sviluppo dell’idrogeno verde non si ferma con il Pnrr. Il MASE ha intenzione di lanciare il programma “Mission innovation” che punta a spingere sulla ricerca e l’innovazione, con “500 milioni di euro da qui al 2026. Ma altre risorse verranno aggiunte per gli anni successivi “aggiunge Mallone. 

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