L’Autorità: “Per il 70-80% costi allineati al Ttf, margini sono lungo la filiera ma sui valori impattano le coperture. Alternativa è trasferire il rischio sui clienti”

Contratti import gas: le conclusioni del monitoraggio Arera

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Ci sono i famosi extraprofitti per gli importatori gas italiani? Dal monitoraggio Arera presentato a metà giugno in una segnalazione inviata a Governo e Parlamento erano attese delle risposte. E in parte sono arrivate, anche se non così chiare e inequivocabili.

In sostanza possono riassumersi così: il 70-80% del gas complessivamente oggetto dei contratti di import è in realtà indicizzato a Ttf e Psv e solo per il 20-30% al Brent, per cui lo spazio per guadagnare su presunti gap di prezzo rispetto all’hub olandese appare limitato. Inoltre sul costo impattano le necessarie strategie di copertura poste in essere dagli operatori. Ciò non significa però che i gruppi non siano in grado di fare ampi margini, soprattutto quelli integrati lungo la filiera. Per cui le norme fin qui approvate sui cosiddetti extraprofitti degli operatori energetici sono per l’Arera tutto sommato giustificabili.

Un intervento specifico sugli importatori gas appare però più complicato, perché dovrebbe prevedere un trasferimento sui consumatori finali del rischio legato alle coperture.

L’Autorità spiega che alcuni contratti di importazione pluriennali sono oggetto di revisione di prezzo con effetti a partire dall’ultima parte dell’anno in corso/prossimo anno. Considerando le normali strategie di gestione del rischio degli operatori, “i contratti di copertura vengono normalmente stipulati in corrispondenza delle revisioni”. Per cui si potrebbe “ipotizzare di trasferire ai clienti finali gli effetti delle revisioni di prezzo future”.

In particolare, rimarca l’Arera, in caso di disallineamento tra la componente Cmem (che copre i costi di approvvigionamento in bolletta) e il prezzo dei contratti, l’eventuale differenza positiva sarebbe versata dagli importatori mentre quella negativa (Cmem più bassa dei contratti) dovrebbe essere coperta dai consumatori.

Tutto ciò richiede però “una norma di rango primario”. Inoltre, il periodo temporale su cui tale misura potrebbe avere effetti (tendenzialmente a partire dall’inizio del prossimo anno) “non è compatibile con l’attuale termine del servizio di tutela gas”. Infine, “gli effetti delle revisioni di prezzo potrebbero portare ad un allineamento delle condizioni economiche dei contratti ai prezzi forward del mercato all’ingrosso e, in caso di calo di questi ultimi, a condizioni economiche che potrebbero risultare, ancorché temporaneamente, svantaggiose rispetto al mercato all’ingrosso”.

C’è da dire che nel DL Bollette varato a fine giugno (poi confluito nel DL Aiuti) il Governo aveva tentato una sortita che sembrava riprendere in parte tale suggerimento. Seppure con alcune significative differenze.

L’idea era di chiedere agli importatori gas una percentuale del 10% della eventuale differenza positiva tra la componente Cmem e i contratti di import nel periodo 1° ottobre 2022 - 31 dicembre 2022, con l’esclusione però dei quantitativi di gas destinati all’iniezione in stoccaggio. Rispetto alla proposta Arera non c’era quindi il meccanismo a due vie per trasferire il rischio copertura sui consumatori e l’applicazione doveva partire prima del 2023.

All’ultimo momento la norma è però sparita dal testo, per quanto ammorbidita rispetto a una prima bozza. Tali interventi di “mitigazione” della misura originaria, sostengono alcuni, non erano comunque sufficienti a evitare il rischio che gli operatori rinunciassero ad approvvigionarsi di gas dal prossimo anno termico. Eventualità che si è voluta evidentemente evitare in questo momento critico.

L’analisi dei contratti nel dettaglio

La larga prevalenza delle importazioni in Italia (per oltre 70 mld mc annui) derivano da contratti pluriennali: il 66% dei volumi è oggetto di accordi sopra i 20 anni. L’incidenza dei contratti con durata inferiore a cinque anni (circa 20%) e quella dei contratti con durata tra i 5 e i 20 anni (14%) risulta però “in tendenziale crescita”.

Sotto il profilo della vita residua, i contratti di importazione in essere al 2021 che scadono entro i prossimi dieci anni riguardano il 52% dei quantitativi complessivi e quelli che scadranno entro 5 anni il 23%. I contratti ancora validi la cui durata residua supera i 15 anni riguardano il 40% dei quantitativi.

La quantità annuale contrattuale complessiva risultante dai contratti vigenti è superiore a 70 miliardi di metri cubi anno.

Venendo ai prezzi, come detto i contratti “tendono a mantenere nel tempo andamenti coerenti (seppur con dinamiche temporali e meccanismi differenziati) con il valore del gas del mercato all’ingrosso”. E se questa coerenza “può temporaneamente venire meno in caso di repentine e significative variazioni dei prezzi di mercato per effetto delle diverse indicizzazioni dei prezzi dei contratti, così come avvenuto nel corso di quest’anno”, i meccanismi di revisione periodica “tendono tuttavia a ripristinare tale coerenza con una frequenza tendenzialmente annuale”.

Dall’analisi emerge che per tutto il 2021 il costo medio dei contratti riportato al Psv è stato di poco superiore alla componente Cmem della bolletta relativa ai costi di approvvigionamento all’ingrosso. Il rapporto si inverte nel primo trimestre del 2022, quando la Cmem sale sopra per circa 10 euro/MWh medi. Questo differenziale torna ad asciugarsi nel secondo trimestre 2022.

Guardando ai prossimi mesi, “si prevede una crescita della componente a fronte di una sostanziale stabilità del costo medio dei contratti”. Questo perché i prezzi forward di maggio, funzionali alla determinazione della Cmem del trimestre luglio-settembre, sono stati caratterizzati da valori più elevati rispetto a quelli dell’ultimo periodo.

Se queste dinamiche fossero confermate, rimarca l’Arera, il costo medio di importazione al Psv tornerebbe nuovamente per il prossimo trimestre sotto la Cmem per circa 20 euro/MWh. L’evoluzione successiva risentirà degli esiti delle rinegoziazioni in corso.

Come detto, l’Autorità sottolinea che il costo dei contratti pluriennali di importazione “può divergere anche significativamente dal costo di approvvigionamento dall’estero, per effetto delle azioni di copertura messe in atto dagli operatori”. Per una corretta e precisa valutazione, l’attribuzione delle coperture ai singoli contratti “dovrebbe essere soggetta a specifiche regole (anche di contabilità regolatoria) attualmente non definite per l’attività di produzione, l’approvvigionamento e il trading all’ingrosso”.

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