Localizzazione e autonomia, insieme all’innovazione, guidano il cambiamento verso gli obiettivi green del 2050

Filiere alimentari, la lotta al cambiamento climatico parte da qui

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Il cambiamento climatico in corso sta avendo forti ripercussioni in ogni settore produttivo e, ad oggi, quello agro-alimentare emerge come un comparto ad alto potenziale nell’adozione di pratiche sostenibili in grado di contrastarlo.

Le filiere zootecniche, seppur annoverate tra i principali settori responsabili delle emissioni di gas, sono state escluse dalla nuova direttiva dell’UE sulle emissioni industriali. Entro il 2026, come scrive suGreen&BlueFiammetta Cupellaro, “la Commissione dovrà valutare come affrontare al meglio le emissioni generate dall'allevamento di bestiame, mentre rimane la data del 2050 per realizzare un'economia agro-industriale a inquinamento zero”. Vi sono però segnali incoraggianti nel processo di decarbonizzazione, tanto che, “secondo Ispra e per dati riferiti al 2021, rispetto al 1990, il sistema zootecnico italiano ha ridotto complessivamente le emissioni di gas serra di circa il 15%.

Le innovazioni implementate allo scopo di ridurre l’impatto ambientale e aumentare il benessere degli animali sono molteplici, a partire dagli impianti fotovoltaici e quelli di biogas alimentati da reflui zootecnici per la produzione di energia green, fino ad arrivare a ventilatori di grandi dimensioni nelle stalle per proteggere gli animali dalle alte temperature.

A guidare il processo di sviluppo tecnologico all’interno della filiera figurano anche le aziende che producono un simbolo d’eccellenza per il made in Italy, il Parmigiano Reggiano. Daniele Mezzogori, funzionario del settore allevamenti bovini per Confagricoltura, spiega che proprio dal comprensorio del Parmigiano parte una forte richiesta di “nuove tecnologie per realizzare ad esempio impianti di biogas e per abbassare le emissioni di CO2 nelle stalle, o per creare impianti di irrigazione controllati”.  La domanda è aumentata dopo l’alluvione che ha colpito la Romagna lo scorso anno e che ha avuto rilevanti ripercussioni sulla produzione del latte, soprattutto a causa dell’alterazione dei foraggi primaverili.

La ricerca di una maggiore sostenibilità si esprime anche in altri modi. Ad esempio, l’Azienda agricola Valserena, storico produttore di Parmigiano Reggiano, ha focalizzato la propria attenzione sulla coltivazione del terreno e sull’impianto di irrigazione, “tenendo d’occhio la carenza d’acqua e la concimazione”, come racconta Giovanni Serra. L’azienda utilizza, in particolare, la semina “su sodo, un metodo che “consente non solo al suolo in caso di piogge di trattenere più a lungo l'umidità, ma aumenta del 20% la produzione e si risparmia carburante”.

Un’altra azienda agricola virtuosa è quella rappresentata da Paolo Gennari. La principale preoccupazione per tutti i produttori di formaggio riguarda la sicurezza delle forniture di foraggio a causa dei rigidi protocolli sull’alimentazione delle mucche. Per questa ragione, aggiunge Gennari, ““abbiamo deciso di occuparci dell’intera filiera coltivando direttamente 500 ettari di campi” a pochi chilometri dall’azienda.

Sempre in Emilia-Romagna e legato alla produzione del Parmigiano Reggiano si trova il Caseificio Colline di Selvapiana e Canossa che, come riporta “HorecaNews.it”, ha installato un impianto fotovoltaico “dalla potenza nominale da 100kW/ora” e che consente la produzione autonoma del 30% del fabbisogno di energia elettrica. Tale operazione è stata realizzata per opera di DalterFood Group, con l’obiettivo di “accelerare gli sforzi nella transizione energetica”.

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